La staffetta generazionale
Prende quota l’ipotesi di potenziare il «contratto di espansione» per mandare in pensione fino a 5 anni prima i lavoratori anziani e assumere giovani. Una sorta di staffetta generazionale consentita, dopo le modifiche decise con la legge di Bilancio 2021, alle aziende con più di 250 dipendenti e che, se estesa, potrebbe aiutare le imprese a gestire i processi di ristrutturazione. Il 20 aprile è stato il leader della Confindustria, Carlo Bonomi, nel vertice con Mario Draghi, a proporre di «ridurre la soglia d’accesso al contratto di espansione portandola a 50 dipendenti, collegando questa misura ai bonus per l’assunzione di giovani e donne e rimuovendo contestualmente le causali previste nel dl Dignità sui contratti a termine». Insomma, poiché la legge dice che il contratto d’espansione presuppone un accordo tra azienda e sindacati dove a fronte dei lavoratori che andranno in prepensionamento si indicano un certo numero di ingressi al lavoro, Confindustria chiede da un lato di ampliare la possibilità di far uscire i lavoratori anticipatamente e dall’altro di assumere con costi ridotti.
Il piano che piace anche ai sindacati
Il 21 aprile, un giorno dopo la Confindustria, sono stati i sindacati a tornare sul punto, incontrando il ministro del Lavoro, Andrea Orlando. Il leader della Cgil, Maurizio Landini, ha chiesto di «rendere più appetibili gli strumenti alternativi ai licenziamenti», citando espressamente «i contratti d’espansione». E lo stesso Orlando, in un’intervista al Messaggero, ha detto che questo strumento potrebbe essere «esteso alle piccole realtà». Il ministro ha anche detto alla Camera che «sono allo studio misure per incentivare le assunzioni di disoccupati con contratti di lavoro stabile».
Il precedente delle grande aziende, da Tim a Eni
Finora il contratto d’espansione è stato utilizzato solo da grandi aziende come Tim, Eni, Ericsson. Consente, tramite adesione volontaria all’accordo, di uscire dal lavoro fino a 5 anni prima della pensione di vecchiaia (67 anni) o di anzianità (42 anni e 10 mesi di contributi indipendentemente dall’età, un anno in meno per le donne). Il lavoratore percepisce una pensione pari a quella maturata al momento dell’uscita. Il costo, per la durata dell’anticipo, è a carico dell’azienda (che deve anche fornire una fidejussione bancaria all’Inps), al netto del valore della Naspi spettante a chi va in prepensionamento.
Con la soglia a 50 dipendenti altre 20 mila aziende
Se la soglia di accesso fosse abbassata dalla soglia attuale di 250 dipendenti fino a 50 dipendenti, potrebbero accedere alla misura circa 20 mila aziende in più, rispetto alle circa 4 mila che oggi hanno un organico superiore a 250. In realtà, più si amplia la platea e più la misura costa.
Quanto costerebbe in più
Già ora le grandi aziende (sopra 500 dipendenti) possono sfruttare il contratto d’espansione non solo per prepensionare ma anche per riqualificare il personale (con l’intervento pubblico) e poi c’è da considerare il costo della Naspi, destinato a salire quanto più si abbassa la soglia d’ingresso ai prepensionamenti. E così i tecnici, che per ora nelle simulazioni si sono spinti fino a una soglia di 100 dipendenti, stimano che servirebbero 8-900 milioni di copertura. Risorse che andrebbero stanziate con la prossima legge di Bilancio, quella per il 2022, visto che i contratto di espansione, introdotto nel 2019 in via sperimentale per un triennio, scade alla fine del 2021.
Un aiuto dopo lo stop al blocco dei licenziamenti
Prorogare e potenziare la misura potrebbe aiutare le ristrutturazioni che scatteranno con la fine del blocco dei licenziamenti. Secondo l’esperto Enzo De Fusco, tra i padri della riforma del 2019, «il contratto d’espansione andrebbe esteso a tutte le aziende, anche quelle con meno di 50 dipendenti, ma affidato alle Regioni, che potrebbero finanziarlo con le risorse europee delle politiche attive, finora spese poco e male. Per renderlo ancora più competitivo – aggiunge – il contratto potrebbe prevedere il prepensionamento fino a 7 anni di anticipo, come accade oggi con l’isopensione, che però è molto più costosa per le aziende e che a quel punto potrebbe essere abolita».
Gli intrecci con Quota 100
Su un altro piano, il contratto di espansione potenziato potrebbe inoltre rappresentare una risposta più adatta alla situazione rispetto alla proroga di Quota 100, anche questa in scadenza alla fine di quest’anno e che perfino la Lega ha rinunciato a difendere così com’è. Del resto, di Quota 100 hanno beneficiato soprattutto lavoratori maschi con carriere lavorative forti. Servono infatti 38 anni di contributi, oltre che 62 anni d’età. Ora, invece, con le ristrutturazioni post pandemia, il contratto d’espansione potrebbe fornire una via d’uscita anche a lavoratori e soprattutto lavoratrici che pur avendo 62 anni d’età non hanno molti anni di contributi. Infine, il contratto di espansione, sarebbe molto meno costoso per il bilancio pubblico rispetto a Quota 100.
“Pensione a 62 anni per favorire le assunzione dei giovani: il pressing delle imprese”, Il Corriere della Sera, 22 Aprile 2021.