Licenziamento per superamento del periodo di comporto e congedo straordinario.
01 Gennaio 2020
Licenziamento per superamento del periodo di comporto e congedo straordinario.
Cenni generali. Secondo l’art. 2110 c.c. il lavoratore ha diritto alla conservazione dell’impiego in costanza di malattia, purché essa non si prolunghi oltre un periodo normativamente stabilito che viene definito comunemente “di comporto”. In tal caso, infatti, il datore di lavoro può legittimamente recedere dal rapporto con il dipendente. La disciplina di tale licenziamento è […]

Cenni generali.

Secondo l’art. 2110 c.c. il lavoratore ha diritto alla conservazione dell’impiego in costanza di malattia, purché essa non si prolunghi oltre un periodo normativamente stabilito che viene definito comunemente “di comporto”.

In tal caso, infatti, il datore di lavoro può legittimamente recedere dal rapporto con il dipendente.

La disciplina di tale licenziamento è contenuta principalmente nei contratti collettivi che ne regolano natura e durata.

 

Viene innanzitutto operata una distinzione tra comporto c.d.“secco” e comporto c.d.“per sommatoria”.

Il primo ricorre quando il ccnl applicato si limita a prevedere il periodo con riferimento ad un’unica malattia; il secondo opera, invece, quando viene previsto un ampio arco temporale entro il quale non possono essere superati i periodi massimi complessivi di conservazione del posto di lavoro.

In tale ultimo caso, deve essere determinato anche l’ambito temporale massimo entro cui inserire il periodo di conservazione del posto.

Ove sia assente un’apposita previsione contrattualcollettiva, si ritiene che spetti al giudice, in via equitativa, determinare l’arco temporale di riferimento per il computo delle assenze (ex art. 2110 c.c.).

Malattia e infortunio del lavoratore e responsabilità del datore per fattori nocivi presenti nell’ambiente di lavoro.

Particolare interesse riveste la computabilità dell’assenza dal lavoro per malattia o infortunio per il calcolo del periodo di comporto ai fini del licenziamento del lavoratore.

Occorre premettere che secondo il tenore letterale dell’art. 2110 c.c. la malattia e l’infortunio sono equiparati ai fini del calcolo.

Sul punto, tuttavia, la giurisprudenza di legittimità è giunta a conclusioni contrastanti.

In alcune pronunce la Corte di Cassazione ha osservato che escludere dal computo del comporto il periodo di assenza derivante da un infortunio professionale, risponde ad un principio di maggiore tutela del lavoratore. Al riguardo si richiama la sentenza della Cassazione sez. lav. n.14756/2013 secondo cui “ai fini del calcolo del periodo di comporto vanno calcolate le sole assenze per malattia e non anche quelle per infortunio sul lavoro e malattia professionale, atteso che non possono porsi a carico del lavoratore le conseguenze del pregiudizio da lui subito a causa dell’attività lavorativa espletata”.

Nel medesimo senso, si richiama la sentenza della Suprema Corte sez. lav. n. 26005/2015 secondo cui    “nel caso in cui all’infortunio succeda, anche senza soluzione di continuità, un periodo di assenza per malattia, inizia a decorrere, al momento dell’insorgenza della malattia, un distinto termine di 180 giorni”.

 

In altre occasioni la Cassazione si è discostata dal suesposto orientamento giurisprudenziale. Si veda in tal senso la sentenza della Cassazione sez. lav. n.17837/2015 secondo cui: “ai fini del superamento del periodo di comporto contrattuale, la normativa legale non distingue tra assenze per malattia e assenze per infortunio, se tale sommatoria non sia anche espressamente esclusa dalla disciplina pattizia”. Per il Supremo Collegio, è infatti la contrattazione collettiva di categoria a regolamentare la disciplina del superamento del periodo di comporto ai fini dell’intimazione del licenziamento al lavoratore.

 

Di tenore analogo è anche la successiva sentenza della Cassazione sez. lav. n. 5527/2016 secondo cui, ai fini del superamento del periodo di comporto, anche in base alla contrattazione collettiva di settore, “l’assenza per infortunio sul lavoro e quella dovuta a malattia professionale sono equiparate, e devono essere entrambe computate nel calcolo del limite complessivo, oltre il quale è esperibile la risoluzione del rapporto di lavoro”.

Appare evidente, quindi, che la Corte di legittimità non si è espressa in modo uniforme sulla modalità di computo del periodo di superamento del comporto e, se in alcune pronunce ha ribadito la necessità di tenere distinti i periodi di comporto per malattia da quelli per infortunio o malattia professionale, in altre si afferma che i diversi periodi di assenza possono essere cumulati ai fini del computo se a prevederlo è la contrattazione collettiva di settore.

Al di là di tale problematica, tuttavia, per la recente giurisprudenza, la computabilità nel periodo di comporto delle assenze del lavoratore dovute ad infortunio, non si verifica nelle ipotesi in cui l’infortunio stesso sia imputabile a responsabilità del datore di lavoro (cfr. Cass. sez. lav. n. 29693/2011).

Secondo la Corte la computabilità è esclusa anche nelle ipotesi in cui l’infortunio o la malattia abbiano avuto origine in fattori di nocività insiti nelle modalità di esercizio delle mansioni e comunque presenti nell’ambiente di lavoro, e quando il datore di lavoro sia responsabile di tale situazione nociva e dannosa, per essere egli inadempiente all’obbligazione a lui facente carico, ai sensi dell’art.2087 c.c. (cfr. ex multis Cass. sez. lav. n. 7037/2011).

Affinché l’assenza possa essere esclusa dal periodo di comporto, non è quindi sufficiente che si tratti di malattia professionale, meramente connessa cioè alla prestazione lavorativa, ma è necessario che in relazione a tale malattia, e alla sua genesi, sussista una responsabilità del datore di lavoro ai sensi del citato art. 2087 c.c.

 

Secondo l’orientamento maggioritario della giurisprudenza di legittimità, la cennata responsabilità datoriale ha natura contrattuale e pone a carico dello stesso l’onere di dimostrare di avere adottato tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica e morale del prestatore di lavoro. Incombe, invece, sul lavoratore l’onere di provare l’esistenza del danno, così come la nocività dell’ambiente di lavoro nonché il nesso di causalità tra l’uno e l’altro elemento.

 

Più precisamente la Suprema Corte ha stabilito che il licenziamento per superamento del periodo di comporto è illegittimo se la malattia che ha dato origine al licenziamento è stata causata dallo svolgimento di mansioni incompatibili con lo stato di salute del lavoratore. In particolare, “le assenze per malattia collegate con lo stato di invalidità non possono essere incluse nel periodo di comporto ai fini del diritto alla conservazione del posto di lavoro, se l’invalido sia stato adibito a mansioni incompatibili con le sue condizioni fisiche, in quanto l’impossibilità della prestazione lavorativa deriva in tal caso dalla violazione da parte del datore di lavoro dell’obbligo di tutelare l’integrità fisica del lavoratore, che è gravato tuttavia dall’onere di provare gli elementi oggettivi della fattispecie sulla quale si fonda la responsabilità contrattuale del datore di lavoro ” (cfr. ex multis Cass. sez. lav. n. 16393/2017).

 

Computo del periodo di comporto e variazione del titolo di assenza del lavoratore.

Per la Suprema Corte, devono essere inclusi nel computo del periodo di comporto anche i giorni festivi o comunque non lavorativi (compresi quelli di fatto non lavorati, ad esempio per uno sciopero) che cadano durante il periodo di malattia indicato dal certificato medico (cfr. Cass. sez. lav. n. 13816/2000).

Opera, in difetto di prova contraria (di cui è onerato il prestatore di lavoro), una presunzione di continuità, in quei giorni, dell’episodio morboso addotto dal lavoratore quale causa dell’assenza dal lavoro e del mancato adempimento della prestazione dovuta.

 

La prova idonea a superare la suddetta presunzione di continuità può essere costituita soltanto dalla dimostrazione dell’avvenuta ripresa dell’attività lavorativa, posto che solo il ritorno in servizio rileva come causa di cessazione della sospensione del rapporto.

Ne consegue che gli unici giorni che il lavoratore può legittimamente richiedere di non conteggiare nel periodo di comporto, sono quelli successivi al suo rientro in servizio, senza la possibilità di sottrarre al calcolo i giorni festivi (o non lavorativi) ricadenti in tale periodo, provando la guarigione relativamente ai suddetti giorni e l’immediata ripresa della malattia nei giorni successivi.

 

Anche successivamente, la Corte di Cassazione ha seguito questo indirizzo interpretativo.

In particolare la Corte di legittimità ha esaminato il problema del calcolo del superamento del periodo di comporto in caso di mutamento del titolo dell’assenza del lavoratore.

Per i giudici, il lavoratore assente per malattia ha facoltà di domandare la fruizione delle ferie – maturate e non godute – allo scopo di sospendere il decorso del periodo di comporto, ma deve formulare l’istanza in epoca anteriore alla sua scadenza. Non si può, in ogni caso, configurare un obbligo del datore di lavoro di accedere a tale richiesta qualora il lavoratore abbia la possibilità di fruire di regolamentazioni legali o contrattuali che gli consentano di evitare la risoluzione del rapporto nell’ipotesi di superamento del periodo di comporto (cfr. Cass. sez. lav. n. 8834/2017).

 

Licenziamento per superamento del periodo di comporto e congedo straordinario.

Da ultimo la Corte di Cassazione con la sentenza n. 22928/2019, si è pronuncia sul rapporto, ai fini del computo del comporto, tra stato morboso del lavoratore e assenza per congedo straordinario ai sensi del D.Lgs. n. 151/2001.

Nel caso in esame, il dipendente di un’azienda, licenziato per il superamento del periodo di comporto, proponeva ricorso al fine di accertare l’illegittimità del licenziamento intimatogli, rilevando che era stato erroneamente conteggiato dal datore, nel computo dei giorni utili ai fini del comporto, anche un periodo di assenza dal lavoro dovuto alla fruizione di un congedo straordinario ai sensi del D.Lgs. n. 151/2001 per assistere un parente affetto da grave disabilità.

Il giudizio di primo grado si concludeva con esito favorevole per il lavoratore, mentre in sede di appello la Corte territoriale adita ne respingeva la domanda.

Investita dal caso anche la Corte di Cassazione ha respinto la domanda del lavoratore.

Occorre premettere che il dipendente che intende fruire del congedo ai sensi dell’art. 42, D.Lgs. n. 151/2001 in combinato disposto con l’art. 4, comma 2, leg-ge n. 43/2000, ha l’obbligo, ai sensi del D.M. n.278/2000, di presentare la richiesta di congedo straordinario oltre che all’INPS anche al proprio datore di lavoro, il quale è tenuto ad esprimersi entro 10 giorni sulla suddetta istanza. Ciò al fine di assicurare l’esigenza del “contraddittorio” tra il dipendente e il datore di lavoro.

Nel caso di specie, invece, risultava provato che il lavoratore avesse trasmesso la propria istanza solo all’Inps, ma non anche al datore di lavoro.

Conseguentemente, l’istanza di congedo straordinario non portata a conoscenza del datore di lavoro non poteva essere considerata utile ai fini della sospensione del decorso del periodo di comporto.

Per la Corte, inoltre, non rilevava il fatto che il lavoratore avesse continuativamente giustificato il periodo di assenza oggetto di controversia, producendo per il suddetto periodo anche certificazioni di malattia, in quanto “un eventuale mutamento del titolo di assenza avrebbe richiesto un’istanza in tal senso al datore di lavoro, prima della scadenza del periodo di comporto, al fine di sospenderne il decorso”.

 

Da qui la legittimità del licenziamento per superamento di comporto comminato dal datore di lavoro.

 

Conclusione.

In conclusione, come più volte ribadito dalla giurisprudenza di legittimità nel calcolo del periodo di comporto devono essere inclusi, oltre ai giorni festivi, anche quelli di fatto non lavorati che cadono durante il periodo di malattia indicato dal certificato medico.

 

In particolare, trova applicazione il seguente principio: in difetto di prova contraria da parte del lavoratore, opera una presunzione di continuità rispetto all’episodio morboso addotto dal lavoratore stesso, che può essere smentita solo dalla dimostrazione dell’avvenuta ripresa dell’attività lavorativa.

Ciò vale anche quando la richiesta di congedo straordinario sia stata inoltrata all’Inps ma non al datore di lavoro.

  • FINE

 

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