Le regole.
- 42, comma 2 DL 18/2020 “nei casi accertati di infezione da coronavirus (SARS- CoV-2) in occasione di lavoro il medico certificatore redige il consueto certificato di infortunio… Le prestazioni Inail nei casi accertati di infezioni da coronavirus in occasione di lavoro sono erogate anche per il periodo di quarantena o di permanenza domiciliare fiduciaria dell’infortunato con la conseguente astensione dal lavoro. I predetti eventi infortunistici gravano sulla gestione assicurativa e non sono computati ai fini della determinazione dell’oscillazione del tasso medio per andamento infortunistico…”.
- Il legislatore attribuisce la tutela delle prestazioni Inail ai casi in cui sia accertato che il lavoratore abbia contratto il virus in occasione di lavoro.
- L’Inail, con la circolare n. 13 del 3 aprile 2020, ha innanzitutto ribadito che le malattie infettive e parassitarie rientrano, sotto l’aspetto assicurativo, nella categoria degli infortuni sul lavoro.
- L’Istituto ha poi precisato che tale principio si applica anche ai “casi di infezione da nuovo coronavirus” e che, per operatori sanitari e altre categorie quali, a titolo esemplificativo, lavoratori che operano in front-office, alla cassa, addetti alle vendite/banconisti, vige una presunzione semplice di origine professionale della patologia.
- Vengono così individuate, essendo oltremodo difficoltosa la prova circa lo specifico momento e la causa del contagio, una serie di figure professionali per le quali la contrazione della malattia si presume avvenuta in occasione di lavoro.
La presunzione semplice di origine professionale della malattia.
- Le presunzioni semplici (art. 2729 Cod. Civ.), in alternativa a quelle legali, aventi maggiore forza probante, sono quelle “non stabilite dalla legge”, “lasciate alla prudenza del giudice [116 c.p.c.], il quale non deve ammettere che presunzioni gravi, precise e concordanti”.
- La loro operatività, pertanto, è da valutarsi caso per caso, sussistendone i cennati requisiti, secondo il prudente apprezzamento del Giudice.
- L’Inail, nella libertà di autodeterminare la fase di accertamento amministrativo e solo con riferimento ad essa, ha introdotto la presunzione in parola da ritenersi vincolante esclusivamente nei suoi confronti.
L’efficacia della presunzione – Eventuali profili di responsabilità del datore di lavoro.
- La circolare afferisce chiaramente l’origine professionale della patologia, ovverosia la circostanza che essa sia stata contratta “in occasione di lavoro”, non la responsabilità del datore di lavoro.
- La stessa circolare, peraltro, richiama la nozione più ampia di “occasione di lavoro” fatta propria anche dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 9913 del 13 maggio 2016 ed estesa anche allo svolgimento di attività strumentali o accessorie alle mansioni tipiche e ad un rischio anche dipendente da situazioni proprie e ineludibili del lavoratore”.
- L’Inail, inoltre, avendo compiuto una valutazione necessariamente in via preventiva ed in termini meramente probabilistici del nesso di causalità professionale, riferendosi alle ulteriori categorie di lavoratori non richiamate, specifica che la presunzione semplice, è afferente “l’accertamento medico-legale” e non, quindi, la responsabilità del datore di lavoro”.
- È necessario dunque distinguere nettamente l’origine professionale della patologia, dalla eventuale responsabilità (penale e civile) del datore di lavoro.
- L’azione di regresso dell’Inail, come quella del lavoratore per il riconoscimento del danno differenziale, attengono a questo secondo profilo, per il quale non può in alcun modo operare la presunzione introdotta dalla circolare 13 dell’Inail.
- Per sussistere la responsabilità del datore di lavoro, dovrà dunque essere sempre dimostrata l’inosservanza delle disposizioni di sicurezza da parte di quest’ultimo.
- Nel caso di specie, il riferimento non può essere che all’adozione di quelle cautele che, per lo stato della conoscenza sulle modalità di trasmissione del virus, si possono prevedere e definire come obbligatorie da assumere per la tutela della salute dei lavoratori (cfr. provvedimenti autorità competenti e protocollo Governo/Parti Sociali del 14/3/2020: utilizzo di prodotti igienizzanti e mezzi di protezione individuale, distanziamento, sanificazione periodica, accesso contingentato da parte dell’eventuale utenza, ecc.).
- La presunzione introdotta dall’Inail, quindi, non ha carattere assoluto ed intangibile; se essa spiega certamente tutti i suoi effetti in riferimento all’origine professionale della patologia nel rapporto amministrativo tra lavoratore ed Istituto, non li spiega nel rapporto tra datore di lavoro ed Inail e tra datore di lavoro e lavoratore.
- È vero, infatti, che è stato più volte affermato il principio secondo cui “il responsabile del danno non è legittimato ad opporre all’I.N.A.I.L., che abbia corrisposto la rendita all’assicurato, l’inesistenza dei presupposti di fatto ( Sez. Lav. 9 agosto 2006, n. 17960).
- La stessa Corte di Cassazione, sez. Lav. 23 giugno 2016, n. 13061, ha però recentemente anche affermato che: “nell’accertamento e nella liquidazione delle prestazioni infortunistiche, l’I.N.A.I.L. è vincolato a rigorosi parametri ed a criteri legali che non lasciano adito a valutazioni discrezionali. E che se, in ipotesi, accada che siano state riconosciute ed erogate prestazioni illegittime perché non spettanti ovvero eccedenti, il datore di lavoro può sempre dimostrare la stessa illegittimità da rapportare necessariamente alla mancanza dei presupposti di fatto e alla violazione dei criteri vincolanti posti dalla legge (Cass. n. 9329/1994 e 1899/1988)”.
- Del resto, la peculiarità della fattispecie si comprende anche dalla circostanza che gli eventi infortunistici individuati, anche se conclusisi con decesso del lavoratore “non sono computati ai fini della determinazione dell’oscillazione del tasso medio per andamento infortunistico di cui agli articoli 19 e seguenti del Decreto Interministeriale 27 febbraio 2019”.
- In sintesi, quindi, la Circolare 13 (i) non esprime alcuna presunzione di responsabilità del datore di lavoro (ii) considera probabile il rischio, per determinate categorie professionali, a prescindere da e nonostante tutte le possibili precauzioni che il datore possa avere assunto.
Conclusioni.
Anche in caso di liquidazione delle prestazioni previste, pertanto, per eventuali azioni nei confronti del datore di lavoro, si ritiene non solo che debba essere concretamente accertata la responsabilità del datore di lavoro stesso per mancata attuazione delle disposizioni di sicurezza, ma, ancor prima, che debba anche essere accertata, con gli ordinari mezzi di prova (e quindi anche con presunzioni da valutarsi prudenzialmente da parte del Giudice), la sussistenza del nesso eziologico tra la contrazione del virus e la prestazione di lavoro, non potendo ritenersi sufficiente, a tal fine, la presunzione, con rilevanza amministrativa interna, introdotta dall’Istituto assicuratore. Nel contesto sopra descritto, dobbiamo ritenere che il rispetto pedissequo delle misure di sicurezza ad oggi note e prescritte e, quindi, l’effettiva consegna al lavoratore degli strumenti di protezione individuale, nonché l’adozione delle altre cautele raccomandate (distanziamento, igienizzazione, regolazione del flusso di utenza ecc.), sia sufficiente ad escludere qualsiasi ipotesi di responsabilità.
Stante quanto sopra, si ritiene, che la presunzione istituita dalla circolare in commento non possa tradursi in una presunzione di responsabilità del datore di lavoro.